Trufaldino medico volante

Trufaldino medico volante, comedia nova e ridicola, Roma, Francesco Leone, 1672

Cette commedia ridicolosa (version rédigée, sous forme de comédie, d’un scenario de commedia dell’arte), constitue, avec « Il medico volante florentin » et « Il medico volante napolitain », l’une des trois versions italiennes connues du sujet du « medico volante ».

 

Les points de rencontre avec Le Médecin volant de Molière sont les suivants:

Trufaldin
une bonne invention pour différer le mariage

 

On relève également des rencontres avec

Le Médecin malgré lui
– *quantité de pain trempé dans du vin

L’Amour médecin
– *ah malheur, ah disgrâce

 

TRUFALDINO MEDICO VOLANTE

Comedia nuova, e ridicolosa.

In Bologna, Per Gioseffo Longhi. Con lic. de’ Sup.

 

PERSONAGGI.

Magnifico Padre.
Isabella figlia amante di Ardelio.
Rosetta zia innamorata di Florindo poi moglie à Coviello.
Dottore Padre.
Cinzia figlia amante di Florindo.
Ardelio da sé amante d’Isabella.
Trufaldino servo finto Medico.
Florindo da sé amante di Cinzia.
Capitan Coviello.
Flautino Servo.

 

ATTO I

 

Scena prima

Isabella e Rosetta

Isabella: Signora Zia, mi volete d’ogni cosa voi riprendere, e non volete che io almeno mi faccia alla finestra, volete che sia a vostro modo; ma ricordatevi che son giovane, e un giorno ho ancora da essere in mia casa et uscire di questa soggezzione nella quale mi trovo; che non fa questo strepito il mio signor padre, quale fate voi?

Rosetta: guardate là se questa è bella, che ancora non è uscita dalla culla e vuol fare della donna addosso. Ti avviso che sei mia nipote, figlia di mio fratello, e per questo ti avvertisco che vorresti tu tutto il giorno alla finestra fare l’uccellona; overo uscire in piazza a giocar con i ragazzi, sei quasi donna di marito (se bene ti dissi che non sei uscita dalla culla) che come tua Zia così ti parlo.

Isabella: Non niego che come mia più stretta di sangue non dovete far l’obligo vostro, ma vi dò contro, mentre non vedete che faccia io quello che non si deve.

Rosetta: non tu turbare; ma ti dico che quando si va a diporto, e ti rincontri con qualche d’uno et in particoare con certi zerbinotti che tutto il giorno vanno a torno e fanno l’uccello perdi giornata, e con sberettate pensano farsi i cuori amanti a questi tali e tutti gl’altri uomini, si deve abbassar gl’occhi.

Isabella: Bisogna con questa bacchettona, esse faccia a suo modo, (Dio sa) s’è dentro questo seno si rinchiude il ritratto del mio vago adorato Ardelio; Signora Zia, che famo noi qui in strada, e poi dite che son’io che voglio vagheggiar Sole e Luna.

Rosetta: Io t’intendo, sei tu di me più scaltrita, e per questo non ti lascio soletta uscir di casa, so bene che l’amore, in giovinetto cor fa gran radici.

E io solo vorrei godere ancora,
De’ frutti, ch’ogn’altra s’innamora.

Entriamo in casa, o Isabella, che voglio ragionarti di cose di tutto gusto; vieni, o figlia.

Isabella: Vengo signora. (O Dio) e perché tanta strettezza,
Per non goder d’Ardelio sua bellezza.

 

Scena seconda.

Ardelio e Florindo.

Ardelio: Mio Signore, mentre sapete la stretta amicizia che passa tra di noi, perché tante cerimonie, bisogna Signor Florindo ragionare alla libera, sapendo quanto io li devo.

Florindo: So che V.S. questa volta mi vuole mortificare e, per farli vedere l’affetto dell’amicizia che li professo, vorrei avere una finestra nel petto, acciò si vedesse nel mio cuore quel ritratto, quale sta impronto, che non vi è altro che quello del Signor Ardelio, a cui molto son obligato.

Ardelio: Se vogliamo far cerimonie, bisognarebbe che di nuovo andassi alla scuola di belle lettere per poter formar concetti, ma so che fra di noi non ci vogliono queste, discorremo alla libera; ditemi Signor Florindo, che molto vi vedo in facende di memoria raggirarvi spesso, spesso, intorno a questa contrada; bisogna che grand’affetto vi faccia far questo passeggio non è vero?

Florindo: All’amico non si deve negar nissuna cosa, (& in particolare a V.S. ma credo che siamo tutti tinti di un colore.

Ardelio: In che modo?

Florindo: In che modo mi domandate? se raggiro di qui attorno, voi non burlate; ma con voi mi confido.

Ardelio: Ed io in voi.

Florindo: Io per amor camino.

Ardelio: Ed io per lui sospiro di reciproco affetto.

Florindo: Io altretanto; ma chi è questa vostra vaga, se così compiace?

Ardelio: In voi lo confido; Isabella; è quel Nume, a cui è diretta la mia adoratione.

Florindo: E la mia bella vaga, a cui soggiaccio prigionero; è la bella Cintia.

Ardelio: Ben collocati amori.

Florindo: Fortunata corrispondenza.

Ardelio: Felici dunque chiamar ci potiamo, essendo amanti amati di reciprochi amori di belle donne.

Florindo: Spero gioire.

Ardelio: Ed io con la mia bella di godere; ma ecco Trufaldino il mio servo; che frettoloso verso di mè se ne vienne; ascolterò che dice.

 

Scena terza

Trufaldino con guanto e lettera e li sudetti

Trufaldino: Servidor Signorotti, & in particolar al Sior Ardeli mè padron e vù Sior Florind, non andè in collera, non andè in collera per grazia Sior, non andè in collera.

Florindo: Di che vuoi che vada in collera caro Trufaldion.

Trufaldino: Non andè in collera. Senti Sior Padron, la Signora Isabella manda a V. S. questo guanto che dentro ghe una littera e che fasi quanto dentro sta scritto e che non tardè negotta, Sior Florindo non andè in collera.

Florindo: Non vado in collera, che vuoi?

Ardelio: Felicissima nova, credo sara per certo, mentre mi è mandata, da un’amante e portata, da un fedel servo; con buona licenza Signor Florindo.

Florindo: Attenda mio Signore.

Trufaldino: E vù per questo non andè in collera savi.

Ardelio: Lege. Amato mio bene:

Se voi non volete perder quella, quale voi dite, tanto amare, voglio che vi finghiate Medico, per che io mi fingerò ammalata, accioché con questa invenzione potiate liberamente entrare et uscire dalla mia casa, che del resto a più bell’agio passeranno i nostri amori e non mancate.

Vostra humilissima amante.

Isabella d’Aretusi.

Amato servo e quanto ti devo, a te ricorro, in te spero che tu sij quella tramontana che guidi in porto la mia sbattuta Nave.

Trufaldino: Che cosa voli che mi fazza in voster servitio Sior Padron.

Ardelio: Non intedesti che bisogna che mi finga Medico, per far sicuro acquisto della mia bella; ma perch a mè non basta l’animo, da te cerco aiuto.

Trufaldino: Mi sò conforme passa il negotio, a me voi finzer mi questo Medico e vù vè finzi un me Pratico e quando saremo in sò ca, chi non sa far sò dann, mõ il Sior Florindo non vorria che andasse in collera.

Florindo: Non vado in colera, che cosa vuoi da mè; ma bensi mi rallegro delle gioie del Signor Ardelio.

Ardelio: Spero di rallegrarmi di V. S. di maggior maniera; vuol venire con mè, che bisogna che dia ordine ad un’inventione : vieni Trufaldino.

Florindo: Verrò servendola conforme e mio obligo.

Trufaldino: E mi ancora come imbroiador e Ruffian della Città.


Scena quarta

Coviello e Flautino

Coviello: Sia laudato lo Cielo, che doppo tanto camino song’arrivato a sta Città, addove sta la Regina de le voie meie, chilla che còlo nome sullo, me fa resta sorriessuto e spantecato; autra ce voleva, a poter mitigar stò arragiato core e che lo dolce nome de chella canna tradetora de Isabella; nma dimme Flautino, che te pare de la bellezzetudine, de la descrittione, delle fattezze che me ha fatto Patremo a lo Paese de sta bella figliola.

Flautino: Sior Padron car a ve digo che vostro Padre, ha dett’ e ancora ha fatto ben a darve muier, ma mandarve con lettere in Paese così lontan, non me da niente nell’umor.

Coviello: E perche causa, forze haverra fatto Patremo quarche cosa che non le deve fare.

Flautino: Me ve digo che ha fatto ben, ma….

Coviello: Ma che vorrisse dicere pè chisto.

Flautino: Diria che tutte le cose son bone, il piar muier mi la tengo così.

Coviello: In che maniera.

Flautino: Perche le zente del mondo non se fanno il fatto sò, se il marito pia muier brutta, subito ò povero zovene, ha perso la sò zoventù, con chi, con una straga; ma se l’è zovine, ghe voion dar de naso e tornano, ò povero marido, è deventad astrolago, l’è entrad ne i segni del Zodiaco e uscì di Tauro ed entrat in Capricorno; e per tanto ho parlat.

Coviello: Siente Flautino, no vorria che tu me isse con ste parolelle, parlano a lo spreposito; cosa fatta e trattata da lo tataruozzuolo mio, non voglio che torna arreto, perché non può essere cosa se no chiù che buona; ma dimme t’è stata imparata la casa de lo Sio Magnifico lo Chiocero meio.

Flautino: A mi non me importa negot, fasi a vostro modo; in circa l’aver domandà la casa del Signor Magnifich, la m’è sta imparada e cred che sia zusto questa, per i segni e contrasegni che mi son sta’ dati però se puol battere, se l’è la so’, le podì parlar, se la no ce l’insegnaran dove sta.

Coviello: Tozzola, che io so’qua.

Flautino: A batt’, tic toc, tic toc.

 

Scena quinta

Magnifico e li sudetti.

Magnifico: Chi batte ? ò sete voi ? che cosa mi comandate?

Coviello: Voria sapere si è V.S. lo Sio Magnifico dell’Aretusi?

Magnifico: Io sono per servirla e V.S. chi è, s’è lecito?

Coviello: Io songo chillo bravo e scatenato, indiavolato smargiassone Capitan Coviello Cetrullo, Napolitano, figlio dello Sio Colafronio Cetrullo, caro amico e vostro corrispondente.

Flautino: Diavol’interzal, guarda quante cerimonie li vol per dir e’l sò nome.

Magnifico: Dunque V.S. xè il mio zenero, sia per cento e mille volte il ben venuto, ma ditemi, e mi scusi, se io tanto ardisco: non havete nessuna lettera di vostro padre?

Coviello: Eccola che la tenevo in mano per darla a V.S.

Magnifico: Con licenza, quanto la leggo.

Coviello: Che te pare de sto socero meio.

Flautino: Me par che sia garbato, ma mi vorria che ci menass’in casa, che hò una fame che arrabbi.

Coviello: Sta zitto, che non te manchera de viver e de magnare; ecco che creo che haggia finito de leggere.

Magnifico: Conosco adesso che V.S. è quella persona, la quale è stata tanto tempo da me desiderata.

Coviello: Sio Magnifico per gratia non facimmo ste cerimonie, che io non songo venuto pe autro , se nò per servirla, che V.S. sa l’amicitia che è stata e de Patremonio e Vossoria, ch’è arrivata a signo tale che s’è ridotta pe gratia dllo Cielo in parentella.

 

Scena sesta

Rosetta grida di dentro e poi fuora, Isabella e gl’istessi.

Rosetta: Poveretta aiuto, hoimè son morta, figlia, chi m’agiuta, ch’io non posso sola; correte, hoimè non posso riavere il fiato.

Magnifico: Che cosa è, perche tanto gridare.

Rosetta: Isabella, ò Dio mi batte il cuore.

Magnifico: Si, che dici d’Isabella?

Rosetta: E venuta meno che è quasi morta.

Flautino: E bon prò ci faccia e sanita Sior Padron, a podemo tornar in Napoli, quando volemo.

Coviello: E non faccio che dice; ca non sara niente Sio Magnifico, vada V.S. e veda che cosa è.Magnifico : Certo che voglio vedere che cosa è successo; questo ci voleva in cambio dinozze mettersi in scoruccio.

Rosetta: Se haveste visto galant’huomini miei conforme s’era fatta la povera ragazza haverebbe fatto venire compassione alle pietre, tanto si era fatta smorta, stretto i denti e tutta tremava, si che io era tanto impaurita, che il Cielo lo sa.

Coviello: Me creda Vossoria, ch’a me manco me è restato sangue addusso.

Flautino: E a mi non m’è resta un quatrin in bisaccola.

Magnifico: Vieni figlia appogiati a me.

Isabella: Oh Dio Signor Padre, io non posso più, ohimè son morta.

Flautino: Ed io son vivo.

Magnifico: Figlia mia cara, sta di buon cuore, che è tempo che ti stia allegramente, atteso come io ti hò detto tante volte che ti havevo maritata in un Capitano, quale è Gentil’huomo Napolitano, adesso è arrivato e per farti vedere che sia la verita, guarda la che bel zovene, non ti rallegri ? che ti pare?

Coviello: Tenemente come me guarda; non vide come è bella.

Flautino: Lei guarda zert; e mi hò fam.

Isabella: Dunque, è venuto lo Sposo mi rallegro (oh Dio) mi rallegro.

Magnifico: Signor Coviello, questa è mia Fia e vostra Sposa.

Coviello: E io songo servitore a lo Signor Socero e la Signora Sabella. Patrona mia non state accosì malinconica, perche na para vostra deve pigliarsene animo, che quanno commanara, farimmo venire gente da tutte le quattro parte de lo Munno le chiù curiose che se trovano, per darle spasso.

Isabella: Credo più di questo, dall’innato vostro valore, quale per fama rimbomba l’universo tutto.

Flautino: Per fame e per apetit nò ghe potemo vedere.

Coviello: Non parlare, se non voi che conno caucio te manno tanto in aria, che passanno pe la regione dello fuoco, deviente no carvone e casche cennere ca bascio.

Flautino: Piano Sior Padron, che me scotto.

Isabella: Signor Padre godo della venuta del mio Sig. Sposo, nè li posso fare quell’accoglienze che devo, essendo io così indisposta; potete fra tanto trovar un Medico, che quando sarò sana si dara effetto al matrimonio.

Magnifico: Di questo havete ragione; sara mio peso di trovare un Medico; acciò si possa curare questa vostra infermita; pertanto ritiratevi in casa, fatte accoglienze al vostro Sposo, trattatelo come tale.

Rosetta: Faremo quanto ci comandate, Signori miei venite, venite con noi, gia che voi sete padrone di casa.

Magnifico: Vada Sig. Coviello e scusera se non si fanno quelle accoglienze che V. S. merita, sapendo questo inconveniente.

Coviello: Non serve fra nui aute pariente ste chellete, entro con chella sicurta come fosse alla casa mia: Flautino.

Magnifico: Come tale la potete stimare, vada Vosignora e tù che fai che non entri?

Flautino: A stavo spettando anca mi, de far le zerimonie conforme el me padron, ma me comanda che netri e mi entrarò.

Magnifico: Mi dispiace molto che nell’arrivata dello Sposo, sia venuto questo accidnete a mia figliuola; ma se non m’inganno parmi vedere un Medico voglio chiamarlo

 

Scena settima

Trufaldino da Medico, & Ardelio da Pratico e Magnifico.

Trufaldino: Disime di gratia a mi, non paro zusto un Medich natural e sò zert’che nessun a me conoscera per Trufaldino, non sè che il diavol te scappasse de bocca, conforme me padron de chiamarne per nom, perche haveressimo rotto el cantar.

Ardelia: Non far tù delle tue balordagini: ma sta sul sodo, che è qua Magnifico, credo che l’inventione riuscira.

Magnifico: Eccellentissimo Signor medico, haverie di caro che V.S. mi visitasse un’ammalata; quale poco fa venutoli un’accidente, quasi di morte non sapendo quello che sia, ricorro alla vostra sapienza, alla vostra virtù.

Trufaldino: Che cosa hò io mò da dir?

Ardelio: Poter del mondo adesso cominci; dilli che se non vedi l’inferma, non puoi dir niente.

Trufaldino: Stè a sentir e stupi Sigor non potiamo discorrere aerei, ma prima bisogna veder l’ammalata e poi toccandoli il polzo, conosceremo la sua infermita e così regolandosi secondo il nostro Galeno, faremo che sia sana, appresso la nostra virtù; che ve par vago ben mi?

Ardelio: Bene, seguita così.

Magnifico: Avete ragione, non vi potete regolare se non sopra la patiente, addesso la chiamo.

Trufaldino: Fate presto, che io hò da fare più d’una visita, perche io non solo son Medico, ma Protomedico e basta non posso dire il tutto.

Magnifico: Non tanta fretta Eccellentissimo : Isabella vieni abbasso, che vi è il Medico.

 

Scena ottava

Isabella e li stessi

Isabella: Eccomi ò Signor Padre

Magnifico: Signor Dottore, ecco qua l’ammalata.

Trufaldino: Ditemi di gratia da quanto tempo in qua voi state accosì male; dite il vero, che al Medico non si deve celar negot.

Ardelio: A furfante, che dici; Signora io come prattico della virtù di questo mio Maestro, li dirò che lui non vuole che celate niente del vostro male.

Trufaldino: Signor si, Signor si, (a m’imbroio, a m’imbroio zerto sta volta)

Magnifico: Figlia racconta la tua infermita, dilli il tutto di quello che ti è intervenuto.

Isabella: Brutta grazia di medico.

Trufaldino: Che dite, che dite?

Isabella: Dico Signore, che grave affanno, a mè stringe il cuore e di maniera tale che a fatica posso respirare, mi pare vedermi la morte a gl’occhi, tremo, sudo, & aggiaccio, questo è il mio male e credo al Mondo non vi sia l’uguale.

Trufaldino: Vi compatisco e mi dispiace maolto della vostra malattia, ma per quanto posso intendere questa vostra sara podagra.

Ardelio: Che dici?

Trufaldino: Stè a sentir, se non adesso, adesso a guasto l’invention.

Magnifico: Hò bene inteso che la podagra viene a i piedi.

Trufaldino: Non ve ne intendete, i mali son come il piombo che hoggi uno, domani l’altro e compagnandosi insieme vengono a farne una massa, la massa de molti mali l’una gran quantita, la gran quantita fa peso, il peso poi è quel che va al fondo; così vogliamo dire noi, che la vostra figlia havendone di più specie, così quelli con peso poi è quel che va al fondo; così vogliamo dire noi, che la vostra figlia havendone di più specie, così quelli con peso grande girando e raggirando questa massa corporea, va a calare al fondo quale sono i piedi, & ivi dicitur Galeno, Avicenna, Mesve, & altri che per brevita si tralasciano, viene chiamata podagra; che dite voi ò mio discepolo?

Ardelio: Dico che V.S. dice bene; guardate come le raggira.

Trufaldino: E voi altri, che vene pare della nostra scienza?

Magnifico: Dico che V. S. è valentissimo homo e per questo spero che dalle vostre mani sia guarita, non altro?

Trufaldino: O la sanaremo, ò la stropiarmeo,[23] ò qualche cosa faremo; ditemi come evacuate, overo come andate del corpo?

Ardelio: Che entra questa esamina; attendemo al nostro?

Trufaldino: Ti se non lasci far al Medigo adesso me spoi.

Ardelio: Fa quel che vuoi, purche non guasti il negotio?

Trufaldino: Lasse fare a mi. Che dite voi bella Zitella?

Isabella: Oh Dio mi fate arrossire.

Trufaldino : Non vi fate tanto turchina (ò diavol dico non vi vergognate.

Isabella: Così, così.

Trufaldino: Avete orinato questa mane?

Isabella: Un poco, (ò che vergogna.)

Trufaldino: Portateci l’orina, che la volemo vedere.

Magnifico: Adesso vado e ve la porterò.

Ardelio: Signora Isabella, io ho fatto quanto V.S. m’impose; ecco il vostro Ardelio, con Trufaldino, quale si è finto Medico, dite che cosa volete che io faccia.

Isabella: Al certo che io non mi credevo che fosse stato V.S. Sappiate che è venuto il Sposo di Napoli, quale ha il Matrimonio trattato con mio Padre per via di lettere e sta in casa, però voglio che mi fate favore di trovare il Signor Florindo e farlo fingere amante di mia Zia e che la ricerchi a mio Padre, che il negotio voglio che riesca a buon fine e voi continuate a venir per la visita, finche potete entrare in casa, (ò Dio) sento che mio Padre viene.

Ardelio: Farò il tutto; a te Trufaldino.

Trufaldino: Avete portata l’orina?

Magnifico: Eco l’orinale, qua potete guardare tutto quello che tiene nel corpo.

Trufaldino: Noi lo pigliamo, vedete quelle nugole, le quali passeggiano per di dentro; sapete che significano?

Magnifico: Che volete che sappia?

Trufaldino: Non lo sapete al certo?

Magnifico: Signor nò mi.

Trufaldino: Gran virtù e il fatto che meno lo sò io?

Ardelio: Bene, che dirai?

Trufaldino: Tacete, il Medico non solo deve essere di tatto, ma di gusto ancora. qua beve l’orina

Magnifico: Ohibò, che stomachevol cosa.

Isabella: Che sporchezza.

Ardelio: Non lo dissi che davi in ciampanelle.

Trufaldino: Spù, spù, l’è salata, havete grandi humori nel corpo, datemi il polzo.

Isabella: Eccolo.

Trufaldino: Troppo vi batte, è grave la vostra infermita, qui vi vuole une recipe grande, dite, havete calamaro?

Magnifico: Anderò in casa a pigliarlo.

Trufaldino: Non vi partite tenetelo a memoria.[24]

Magnifico: Io hò bene inteso, seguitarete la cura, per tanto a rivederci, entriamo in casa Isabella.

Isabella: Farò quanto mi comanda Vosignoria.

Ardelio: Non lo dissi io che con le tue schiocchezze non haveressimo fatto nulla.

Trufaldino: Mò che volì che ve fazza mi, hò fatto tutto quanto quello che io hò potud, non havì dubitation, lasse fare a mi, andemo a trovare il Sior Florindo, che mi azzusterò ogni cosa.

Ardelio: Andiamo e non ne far delle tue.

 

Scena nona.

Dottore e Cintia.

Dottore: No’ per altr’fiola me cara, a t’hò chiamà qui in strà, azzo che t’sip’avertì, perche mi ho d’andar per cert’negozij in villa, à vure, ch’ti com’fiola ubidient’al tò Pader, ch’ti avriss’ i ucch’ e t’guardass’ al fatt’tò, perche al retorn’, ch’à farò, a t’vui dar un Spos; m’intendent?

Cinzia: Signor padre mi meraviglio di voi, andate pure alla libera, che Cintia vostra figlia, starà sempre avertente alla casa; voi dite di darmi marito e che volete voi che io ne faccia?

Dottore: Tral zò dalla finestra, al marì serv’ per cumpagni’ alla donna.

Cinzia: E voi che mi sete Padre, non state in mia compagnia, & io con voi?

Dottore: St? à uder per la simplicità d’qustì, al marì serv’ per scaldar al lett’.

Cinzia: V’intendo, sì, sì; voi mi volete comprare un’ marito di quelli che con il fuoco dentro si riscalda il letto, io lo dichiaro e ne hò visto tanti che le donne lo portano in mano per scaldarsi; non è vero?[25]

Dottore: Diavel’la falla, la tol’ al marì per un’ scaldalet; horsù siola entra in cà, ch’al mi rtorn’ at darò tutt’ quel ch’ti vù.

Cinzia: Hor questo sì quando V.S. sarà andato via, io mi serrerò in casa.

Dottore: Sipt’ semper bendeta cara la mi cuccona, entra in cà, ch’mi adess’ a part’. L’è tant’ semplic’ ch’al bisogna, ch’mi diga à sò mod.

Cintia: A’ Padre, Padre, pensi che tua figlia non t’intenda eh, mostra la simplicità nella lingua, per mostrare il fucoco del cuore; florindo anima mia e quando sar? quel dì fortunato che Cintia habbia da godere di si honesta conversatione; mà ecco che viene il mio bene.

 

Sena decima.

Florindo e Cintia.

Florindo: Mi vado raggirando intorno se vedere potessi, quella bellezza che mi mantiene in vita; mà eccola, oh Dio.

Cinzia: Benvenga il Sig. Florindo dove stà conservata la potenza d’amore che hà legato il mio cuore.

Florindo: Ricordatevi ò bella, che havendo legato il mio arbitrio, soggiaccio prigionero di quella che legò con il suo bello l’istessa bellezza.

Cinzia: Non vorrei, ò mio soave tesoro, che con le vostre lodi m’ianlzaste tanto in alto, per farmi provare i disaggi dello sventurato Icaro?

Florindo: Dunque dubitate del mio afetto?

Cinzia: Dell’affetto nò; mà temo dell’aria istessa che non mi v’involi.

Florindo: Ricodatevi ò bella, che vi giurai fedeltà.

Cinzia: Ed io amore e perpetua fede.

Florindo: Io sarò saldo diamante in servirvi.

Cinzia: Io ferma rocca in amarvi.

Florindo: Così prometto.

Cinzia: Così giuro.

Florindo: Addio mia vita, ecco la destra.

Cinzia: Addio mio bene e con la destra il cuore.

Florindo: Chi non gode delle dolcezze d’amore, ch’è di sasso; che più si puo sperare che la corrispondenza di bella dama ? (oh Dio) vorrei essere invisibile, accioche da niuno visto stessi sempre teco; mà ecco il Sig. Ardelio.

 

Scena undecima.

Ardelio, Trufaldino e Florindo.

Ardelio: Signor Florindo, posso ben dire che sono io fortunato in così felice incontro.

Florindo: La fortuna è la mia, ogni volta che vedo il Sig. Ardelio.

Trufaldino: E nù per necessità, semo più in là dell’Isole fortunate, havend trovad V.S.

Florindo: In che posso servirla ? mi comandi della propria vita.

Ardelio: Meno di questo voglio e di che m’habbia da favoririmi, d’una sol gratia per una inventione.

Florindo: Sapete quanta padronanza havete sopra di me, comandate alla libera.

Trufaldino: Un’ imbroi, no altr.

Ardelio: Io sò che V.S. è amante della Signoria Cintia.

Florindo: Non lo posso negare e voi della Signora Isabella.

Trufaldino: E mi dell’osteria.

Ardelio: Nè questo io lo poso celare, mà per la gran confidenza che hò verso di V.S. mi muove a pregarla a farmi un favore, à volersi fingere amante di Rosetta la Zia della Signora Isabella, mà non per questo, voglio che lasciate l’amore della Signora Cintia.

Florindo: O Dio come potrò, nè da vero, nè da burla, mancare a quella fè che diedi alla mia bella Cintia, amico troppo ,mi offendete.

Ardelio: Non bramo che scancellate la vostra amata dal cuore, mà per inventioni, quali servono per il vostro Ardelio.

Trufaldino: Avì fatt mai e’l roffian, adesso è tempo; l’è una cosa de ment’e’ finzerse assoluto, all’ora sarebbe dan, quando feccesivo da dover.

Florindo: Mentre che è per invenzioni farò quanto mi comanda l’amico; mà se è per altro non voglio, ne pretendo farlo.

Ardelio: Se s’immagina, ch’io volessi tradirla, vorrei prima che il Cielo mi fulminasse.

Florindo: Faro quanto mi comanda.

Ardelio: Trufaldino li dirà il modo che havete da tenere.

Florindo: Ed io eseguirò il tutto.

Trufaldino: Sior Padron, ecco la Siora Isabella con Rosetta, sotto barbon.

Ardelio: Vorrei qualche d’uno che la trattenesse.

Trufaldino: Lasse fare a mi.

 

Scena duodecima

Isabella, Rosetta e li stessi.

Rosetta: Già che non potete stare in casa, ecco che voglio venire ancor’io.

Isabella: Non è che io non possi stare in casa, mà pretendo fare un poco di esercitio.

Rosetta: Tutto và bene, mà dove vogliamo andare.

Isabella: Fino al nostro giardino; perche mi piace assai la campagna.

Ardelio: Servitor Signora Rosetta, dove andate?

Rosetta: Fino al giardino a spasso.

Trufaldino: Siora Isabella il Sior Ardelio mor per V. S.

Isabella: Ed io spiro per lui.

Rosetta: Isabella camina.

Florindo: Signora Rosetta non tanta fretta, sappiate che Florindo è vostro servo.

Rosetta: Ed io Umilissima sua servitrice.

Ardelio: Mio bene, come ve la passate?

Isabella: Vivo nel vostro amore.

Rosetta: Quando camini?

Isabella: Sono appresso à voi.

Florindo: E impossiblie che io non possi haver fortuna una volta di ricever i vostri comandi, acciò potessi con la mia servitù, incontrare i suoi gusti.

Rosetta: Piacesse al Cielo che fossi degna della vostra gratia.

Fine dell’atto Primo.

 

ATTO II

 

Scena prima

Coviello e Flautino.

Coviello: A dirte lo vero Flautino mio, a stare sempre serrato; e nà mala cosa, vuolio alo manco che sò venuto, a stà Città de Roma, irela camminanno no puoco, per vedere se ce fosse tutte chille curiosità che me sò state dette à Napole.

Flautino: Sior Padron a la vedo ingarboiada, son deventà un Camaleonte, che me pasco d’aria, in casa non se manza negot per maor dell’ammalada, per istrada, nù non havemo quattrin, non sò come se vada mì.

Coviello: Stà zitto malalengna, sempre tratti de magnar.

Flautino: Tratto de quelle cose, quale me posson mantener al Mond, che dise el proverbio; che sacco vodo non se rezze in piè.

Coviello: No dubità che voglio che magni e che bivi, ma na cosa sola me despiace che la sposa me tene mente con cert’vocchi de basalisco.

Flautino: El Cile ve ne sguizzera, che se fosse un basalisch’, a saresti morto.

Coviello: Qual basalisco chiù delle vocchie meie che aggio co’ la vista atterrato e atterruto, l’Eserciti intieri e tù vuoi che n’animale accosì piccolo commo se scrive, vuoi che me potesse dà fastido, a no smisurato commo sò io.

Flautino: Piano Sior, che’l diavol m’hà fatto parlar.

Coviello: Stà zitto e non parlare; mà perche causa non farme chelle accoglienze, quale solevo fare l’aute spose a lo spuso; perche tù non parle?

Flautino: Che volì che diga mi . se vù m’avì impost’ che non parla.

Coviello: Parla, che te dò licenza.

Flautino: In quanto che la non sazza, come fanno le altre donne co sò maridi, non è gran cosa, perche l’è sposa novella e pò la stà mal e del resto che sò mì.

Coviello: Mà chi è chisto che vene alla volta nostra.

Flautino: Me par all’abito un Medich.

 

Scena seconda

Medico e gl’istessi.

Trufaldino: Ades voi veder se posso entrar in cà della Signora Isabella, con l’invention de vistarla, mà che zente son queste.

Flautino: Servidor Sior, hà vorave saver che persona e V.S.

Trufaldino: Sete forse spia del paese.

Flautino: Pian, pian con i titoli.

Coviello: Vossoria non se piglia cuollera, che non è gran cosa, uno che è forastiero de domandare che persona è V. S.

Trufaldino: Sappiate che non è cosa da galant’huomo al sapere i fatti de gl’altri e per tanto non molestate i medici, perche haverete, poco, pochino, pochissimo gusto.

Flautino: Eccellentissimo Sior, la me scusi, che mi non parlava per offenderve.

Trufaldino: L’hà paura, l’hà paura.

 

Scena terza

Isabella, Rosetta e gl’istessi.

Rosetta: Vieni, ò figlia, che per questa volta farò quanto tù vuoi.

Isabella: A dirvi il vero io non posso vedere.

Coviello: Ben trovata, chè la luna quintagesima, dove riceve luce stò cuore.

Flautino: E mi che non sò far cerimonie, dico buon dì à V.S.

Trufaldino: E io, e io, che sono il Medico, dico, ben dico il simile.

Isabella: Eccoli quà tutti, non sapete Signori, il brutto insogno che hò fatto questa notte; veramente è spaventoso.

Coviello: Che ve site insognata?

Isabella: Parea che stessi aspettando un nuovo sposo, e non tanto quello era arrivato, che pareva all’improviso li fossero date tante e poi tante ferite, io udendo il misero che era fatto à guisa di crivello, tutto buchi; dissi frà me medesima; poveretto non ci fosse mai venuto; & in quel fantasticare, mi sono risvegliata tutta sbigottita.

Flautino: Sentì, sentì Padron.

Rosetta: Vedete, come si confrontano i sogni, a me ancora pareva che, essendo arrivato questo suo Sposo, vi fosse un altro pretendente, & azzufandosi seco pareva che sparasse una pistolata, & ammazasse lui, & un suo servitore, che con quella paura mi sono risvegliata, che ancora tremo.

Flautino: Brutt’insogno.

Coviello: Sentite, sentite lo meio, mò, io me misse addormire ier sera e stanno sopra pensiere, me addormentai e me parea che ero venuto quà in Roma, per piglià la Sposa e me parea tanto naturale (come fosse stato scetato,) vedea la Sposa che non me mostrava bona cera e vedeo no cierto negoto muto che ghieva pe la casa, dove io restavo nò poco meravigliato.

Trufaldino: Non si deve credere à insogni.

Flautino: Sentì, sentì il mio, come al fe natural’ al vostro, me parea che mi, è vù partissimo de napoli per venire in Roma, à piar vostra muier e quando fussimo arrivadi chilò, trovassimo un’grand’imbroio, dove mi me moreo de fame, dove mi stevo guardando per cà e vedevo caminar innanzi, & indrio un zerto servidor ruffian, dove mi per non metter in conquas la cà, me ne stevo così, dicendo povero me padron e volevo tor un pez de legno el volevo bastonar, in quello la gatta faltò sù in piat e così mi me resvigliè e sparse il sogno.

Trufaldino: Il mio, a me non parea d’esser Medico, mà un’imbroglione, della Città e mi parea con il mio insegno d’imbrogliare à tutti quanti e mentre stavo in questo insogno, me scapava da far i miei bisogni e saltè sù dal letto; mà però Signori non credete a insogni, non ci credete.

Rosetta: Entriamo noi in casa, perche si fà tardi.

Isabella: Andiamo Signora zia, bascio la mano Signori miei.

Coviello: Bella ceremonia fredda; Flautino vienne conmico,

Flautino: Sior Padron, la disevo mi che per parte de vegnir à Roma, semo arrivad’à cornet.

Trufaldino: Non credì à sogni, perche l’è una brutta menestra il crederci.

Flautino: Non ci credem, non ci credem.

Trufaldino: Come ghe stan, brutti merlotti e son san che han dà far, con Trufaldino, voi e per dispet a voi che Isabella sia del me Padron; mà vedo vegnir il Dottor con il Signor Magnifich, me voi metter sovra la sò porta.

 

Scena quarta.

Magnifico e Dottore.

Magnifico: Signor Dottor mio caro, mi rallegro assa della sua buona ciera e della sua venuta a salvamento dalla Villa benche il Viaggio sia vicino, con tutto ciò siamo vecchi e ogni poco di cosa à noi ci fà danno; per tanto godo della sua buona salute.

Dottore: Anca mi god dell’affet, del Snor Magnifich, perche essend’ semper stà bon

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