Les propos d’Albert trouvent leur origine dans une tirade du Pandolfo de L’interesse, où ce dernier dévoile son appréhension à l’idée de rencontrer Ricciardo, qu’il a spolié par la substitution d’enfants :
Riccciardo mi ha fatto dire che mi vuol parlare; che diavolo può egli volere da me ? se gli fosse mai venuto alle orecchie qualche cosa dell’inganno che gli feci, ò che siropo vuol esser questo; ch’io non lo veggo mai, che l’anima non mi triemi nel corpo, che il cuore non mi schianti, tanto aspramente il rimorso della coscienza mi punge : io sudo, et agghiaccio tutto a un tempo, quando gli vò dinanzo; perchè quel tormento perpetuo, quel carnefice crudele che di dentro mi rimorde e scarnifica, tanto più m’afflige e combatte, quanto più quello che per propria malitia ingannai, mi si avvicina. Mi parrà tuttavia, ragionando con esso lui, che rieschi a questa falsità. Ma ecco ch’ei viene, ingegno aiutami, farò buon volto per non parere di haver paura di lui. Io vengo a te, Ricciardo, che vuoi tu da me ?
(p. 38-39)
La tirade est placée à l’orée de la scène IV, 2, dont certains passages ont servi à la composition des scènes II, 5 (« je crains cent accidents ») et III, 5 (« je lis dedans son âme »).