Ce poème, consacré au personnage d’Arlequin, consacre un long développement au rôle qu’il y tient dans le soggetto du medico volante, dont est tiré Le Médecin volant de Molière.
Se nel Medico volante
Da scientifico ignorante
Il tuo ingegno Tito adopera.
Sai tu far due parti in opera.
Sei un solo in due diviso,
E sei due dentro un sol viso.
Nella disputa famosa
Col Dottor, che star tec’osa
In confronto, il fai parere
Col tuo lucido sapere
Che dilati, e spieghi in mostra
Qual bamboccio in cui si giostra.
Basta t’odano, e t’annasino,
dicon, Oh gran testa d’Asino,
Che tal vuoi che ognun ti nomini
Per la cima de’ grand’Uomini.
Spieghi che Philosophia
Suol vuol dir fila Sofia.
Chiedi a lui poi quid est Physica?
E quid sit la Metafisica,
E gl’insegni in guisa scaltra,
Che metà l’una è dell’altra.
Chiedi ancor Quid sit Natura?
Ma sol spieghi la Figura,
Non l’essenza, o quidità,
E con tal latinità,
Che dai fuori per perfetta,
Ma è latino di scoletta
Pur ti credono un Oracolo,
E di scienze un tabernacolo;
Che il Dottor, sebben saputo
Col suo dir non è creduto.
Nella stanza ov’è l’Inferma,
Il valor tuo si conferma,
E la tua fonda dottrina
Sta in discorrer su l’urina.
Là tu sai da più diagnostici
Cacciar fuor veri pronostici,
E di Febo il sen ripieno
Citi Ippocrate e Galeno.
Dice Ognun, ch’ai nello stomaco
Il saper del vecchio Andromaco.
Ogni po’ da Te s’accenna
Qualche passo d’Avicenna.
Ma lasciam fuori gli antichi.
Tu ne sai più del Malpichi,
Più del Fabbri, e Muratori,
Più del Grandis, più del Flori,
Più del Manzi, più del Mini.
Più del Borri, e del Zanforti,
Ma costor son tutti morti,
E Tu vivi, e ancor vivrai,
Dio sa quanti secol mai!
Tutti assiem li due Garelli
Tu sol passi et antecelli.
Passi il nostro Besenelli,
Passi il Bruner, per cui smania
Quallor egra è la Germania;
Ma da certa nuvoletta,
Che tu osservi torbidetta
Ir pe’l ciel dell’Orinario,
(Per quel mostra il tuo lunario)
Dici che codesto insegna
Che la Putta inferma è pregna.
Ma che lascino a Te fare,
Che la vuoi tosto sanare;
Onde allor bevi al boccale
Cen[68] l’urina all’egra il male.
Tutti pensan vomitare
Le budella in Te mirare
Ber quell’oro distillato,
Ma gli è vin del più pregiato
Che non sei pazzo così,
Qual ti crede ognun ch’è lì.
L’è compagna d’allor quando
Al Padron stai rischiarando
Con un Lume in mano ardente,
E la man scottar si sente.
Ben fa nausea quel vedere
Tutto sevo il candeliere.
La candela lorda e brutta
Pur di sevo ell’è costrutta,
E tu ghiotto te la pigli,
Et al cul d’essa t’appigli,
E ne pappi piano piano,
Ma quel sevo è marzapano,
Del miglior che fosse mai:
Ma torniamo ove lasciai.
Or sei Medico, e sei solo,
Or sparisci e con un volo,
Onde sei detto volante
Dal balcone in un istante
Su la strada balzi fuore.
Senza toga da Dottore
Sei del Medico il fratello.
Pantalon perde il cervello,
Fin che il gioco si tralascia:
Ognun ride, e si sganascia.
V’è altro lazo incomparabile
Ch’è d’un sogno rimarcabile
Che fa l’Egra, e vien spiegato
Da Arlichino addottorato,
Come quel che un gran lavoro
Fatto è sopra Artemidoro
Ne’ suoi studj giovanili,
E de’ sogni feminili
A una prattica infinita,
E gl’intende a mena dita.
Dice quella, che sognava,
Che soletta passeggiava
Tutta lieta in sul matino
Per diporto in un giardino;
Osservando con piacere
Verdeggiar quelle spalliere
Di vermiglie, et odorose
Dianzi aperte fresche rose,
Che de’ fior nate Regine
Guardia avean di folte spine,
Eran quivi in cerchio alteri
Odoriferi Picchieri
I Narcisi, i Tulipani,
Eran quivi non lontani
Più completi regimenti
De’ garofani più ardenti;
Quando vede a se d’avante
Farsi un Serpe ira spirante.
Minaccioso, et arricciato,
Che con fischio avvelenato
Sangue sol spirava e morte;
Con le guance a un tratto smorte
Essa colta da paura
A commossa la natura,
Che alla volta dei calzetti
Ne sentìa tutti gli effetti;
Vede in questo uscir dal Polo
E ver lei spiccar il volo
Una candida Colomba,
Che sul serpe ardita piomba,
E investendolo col becco,
Come fosse un fico secco
Se lo mangia, e pria l’uccide
Come l’Idra uccise Alcide.
Dice allor l’Eccellentissimo,
Che quel tal Orto amenissimo
E’ la giovane Donzella
In sua età fiorita e bella;
E che il Drago micidiale
E’ quel morbo che l’assale.
Quella poi colomba bianca
E’ la sua valente, e franca
Medicina che gli arriva,
E di morta la fa viva.
Ma Brighella il forfantone,
Che appiattito in un cantone
Col Moroso suo protetto
Alla Sposa niente accetto,
Si fa innanzi e con bel modo
Vuol con lui parlar sul sodo,
E gli dice aver udito
Ch’Egli interprete perito
E in szifrar sogno o visione,
Però il prega ginocchione
Quel spiegar del suo Padrone:
Ed è questo, che parevagli
Che dormendo alcun dicevagli,
Che di fuora era venuto
Un Signore sconosciuto
Per sposar una Fanciulla
E che questa, che per nulla
della Sposo era curante
Invaghita d’altro Amante
Avea un tocco di Birbante
Travestito da Dottore;
Di che accortosi il Signore
Della Ninfa pretensore
Prese avea salde misure
Per fiaccar le cuciture
Della toga a quel tal Medico.
Arlichin, che un sì maledico
Nero sogno non gli piace,
Dice a lui. Deh, sia con pace
E pur sogno questo qui?
E Brighella dice: Sì
Arlichin savio e prudente,
Gli risponde immantinente,
Che dar fede non bisogna
A deliri di chi sogna;
Che anche lui la scorsa notte
Della piscia della botte
Aggravato nella testa
Vision simile a questa
Avea vista. E gli parea,
Che quel Tal, che proteggea
Quel birbante Protofisico
Per salvarlo da quel risico,
Dato avea ordini tali
Ben a cinque, o sei brutali
Che il Moroso forestiero
Bastonasser, ma davero.
E menasser giù alla peggio,
Tanto che sotto il maneggio
Del bastone cittadino,
A quel caro Padroncino
Gli ammaccassero il veluto,
Sol per dargli il ben venuto.
Sopra tutto riveduto
Dovea il Servo averle buone
Ben calcate sul giuppone.
A Brighella ben compreso,
Ma si dà per non inteso
E da lui saper desìa,
Se quel sogno sogno sia?
Arlichin gli dice: Sì
L’altro dice allor: Bondì.
E convien che non bisogna
Presta fede ad Uom che sogna.
L’iun dell’altro alla presenza
Fa una bella riverenza,
E si lascian civilmente
Le due parti mal contente
Se si ride di buon cuore
Chi lo sa chi è spettatore